Jole Veneziani. Alta moda e società a Milano.
La memoria di Jole Veneziani (Taranto 1901 – Milano 1989), protagonista della nascita e dell’affermazione della moda italiana tra gli anni Cinquanta e Sessanta, è affidata al ricchissimo e straordinario archivio, che documenta la sua vita e la sua attività, custodito e valorizzato grazie a una classificazione e criteri di conservazione esemplari dalla Fondazione Bano in Palazzo Zabarella a Padova. Si tratta di un magico caleidoscopio che ci riporta, sulle onde della nostalgia, all’incanto di quell’epoca attraverso materiali diversi: abiti splendidi e accessori, altrettanto preziosi; figurini che ci restituiscono una inesauribile creatività; ritagli di stampa e copertine di riviste che confermano la sua fama nel mondo; filmati dove rivivono il luoghi, le persone, le sfilate e gli eventi; e soprattutto un fondo di circa duemila fotografie d’epoca, molte di stupefacente bellezza, come quelle passate attraverso l’obbiettivo di grandi fotografi.
La vera interprete del miracolo italiano.
La Veneziani, arrivata a sei anni in quella che diventerà la sua città, si è andata affermando sulla scena milanese dalla seconda metà degli anni Trenta per poi imporsi definitivamente nel secondo dopoguerra, per le sue doti creative come imprenditoriali, quando “non è stata solo una grande stilista, non solo ha impellicciato con capi unici da museo le più importanti donne internazionali e intere dinastie, non solo è stata la pioniera del colore, delle lavorazioni a tweed e di quelle che toglievano chili di peso a questi indumenti, non solo è stata la prima a creare una collezione industriale per l’Eurofour, con giubbotti sportivi bicolori, non solo è stata la consulente che ha cambiato i colori cupi dell’Alfa Romeo in altri, più femminili e la consigliera di tante industrie tessili. È stata tutto questo, ma, nel lavoro e nella vita mondana, è stata la vera rappresentante, la vera interprete degli anni del miracolo italiano, di quel boom forse sconsiderato ma di impulsi vitali magici” (Maria Pezzi 1999). Il suo trionfo ha avuto molti scenari. In particolare le mitiche sfilate nella Sala Bianca di Palazzo Pitti a Firenze dove, secondo un testimone eccellente come Dino Buzzati, la presenza in passerella nel 1963 dei suoi abiti improntati “sul lusso, con largo impiego dei tessuti più costosi come la vicugna e il cachemire”, e delle preziosissime pellicce di visone, giaguaro, leopardo, pantera nera, ocelot, zibellino era stata “un piccolo festival del miracolo economico, tanto dichiarato e spiritoso da non poter dare scandalo”.
Trionfo e tramonto di un’epoca.
Da Milano, che garantiva un fecondo legame tra la moda e l’industria, la Veneziani ha contribuito alla nascita di una linea italiana, il “Made in Italy”, che a partire dalla memorabile sfilata organizzata nel 1951 da Giovanni Battista Giorgini nel proprio palazzo fiorentino, dove furono coinvolti tredici sarti da allora chiamati “i tredici apostoli della moda italiana”, riuscirà a delinearsi come alternativa a quella che era stata fino ad allora l’egemonia francese ed a imporsi nel mercato più importante, quello americano. Fu lei soprattutto a capire che gli americani desideravano “qualcosa di semplice e, già nel 1951, creò la seconda linea Veneziani Sport, una sorta di prêt-à-porter” (Sofia Gnoli 2012) dove trionfò un impermeabile bianco con cappello da pioggia destinato a battere il record di vendite e diventare nella stagione immediatamente successiva un capo indispensabile per le donne americane. Idolatrata dalle grandi riviste come “Vogue” e “Harper’s Bazaar” - nel 1952 “Life” le dedicò la copertina – riuscì a imporre e far riconoscere al mondo il suo stile scabro, essenziale, modernissimo che si avvicina a quello di Capucci. Tutto questo doveva durare sino a quando fu il sistema dell’alta moda ad entrare, già negli anni Sessanta, in crisi. Una crisi che la stessa Veneziani imputerà soprattutto al fatto che “si è lasciata troppa libertà alle donne nel loro modo di vestire: tutto è permesso, qualunque stile, qualsiasi linea; non esiste più una moda, vi sono cento mode e mille variazioni”. Ma la vera fine verrà decretata dal fatidico 1968 con “le uova lanciate sugli abiti di Jole Veneziani e degli altri creatori italiani alla «prima» della Scala”. Si avvertì subito come fosse tramontata un’epoca, “cambiato il costume, mutata la moda, nati altri stili. E Milano, definitivamente, sia diventata un’altra città. Più internazionale, sicuramente. Più democratica, anche. Ma assai meno lieta. E certo più distratta, meno tradizionalista e conservatrice. Più crudele” (Edgarda Ferri 1980).